La programmazione televisiva presenta tassi elevati di violenza che raggiungono una percentuale consistente di minori. Esistono opinioni discordanti a proposito dell’influenza che gli spettacoli di violenza possono avere sui comportamenti ed i vissuti dei bambini.
Gli scettici sottolineano che la storia è piena di ogni genere di barbarie, e che l’uomo ha saputo perpetrare i crimini più orribili anche senza l’aiuto della televisione; oppure obiettano che la televisione non fa che riflettere il mondo circostante, già di per sé violento.
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Di
contro c’è la posizione di quanti, come il filosofo Karl Popper,
ritengono che la televisione porti violenza laddove altrimenti non ci
sarebbe, amplificandola e addirittura producendola. Secondo la teoria
dell’Apprendimento Sociale di Albert Bandura la spiegazione del
comportamento sta nell’imitazione delle risposte altrui. In base a
quest’ipotesi, Bandura spiega il rapporto tra la violenza mostrata
al cinema o in televisione ed il comportamento infantile. Alla radice
del comportamento aggressivo agisce, secondo lo psicologo americano,
un processo di modellamento attraverso il quale il bambino apprende
di fatto schemi comportamentali da riportare alla sua esperienza. La
violenza rappresentata funzionerebbe quindi da innesco di
comportamenti aggressivi.
Il
problema non è semplice perché, se da un lato riconosciamo
l’effetto catartico della violenza e la necessità di
un’informazione che aiuti gli spettatori a riflettere sugli
accadimenti violenti del mondo, dall’altro, c’è il rischio che
le notizie di morte e violenza del mondo reale finiscano per essere
assimilate a quelle dei film.
L’influenza
più negativa la si riscontra con la rappresentazione della violenza
reale, con il soffermarsi su dettagli impressionanti creando paura,
impotenza ed angoscia. Al contrario la violenza dei cartoni animati
può non avere alcun impatto; evidentemente irreale, spesso con
effetti reversibili sui personaggi riscattati dal riso comico; si
pensi ad un personaggio come Wiley Coyote, vittima di esplosioni,
investimenti da parte di treni in corsa, voli di migliaia di metri
nel Grand Canyon, ma sempre pronto per nuove imprese! Ma
come il piccolo schermo può influenzare il comportamento? Si parla di
“iniziazione”
riferendosi al meccanismo attraverso il quale il modello televisivo
plasma i nostri atteggiamenti nei confronti della realtà.
L’iniziazione
alla violenza consiste nell’attribuzione
ad altri di pensieri
malvagi, nella
facilitazione del
passaggio all’atto,
e nell’identificazione
con l’aggressore.
Nel
1990 gli psicologi americani Brad Bushman e Russell Geen hanno
dimostrato che i soggetti in seguito all’esposizione a film
violenti sono più inclini ad attribuire cattive intenzioni alle
persone che incontrano dopo la visione del film. Questo genere di
film favorisce un atteggiamento aggressivo nei confronti degli
interlocutori ed altera le capacità di giudizio.
Il
passaggio all’atto risulta facilitato: guardando immagini violente
si impara come si può fare del male ad altri. Infine, l’iniziazione
alla violenza viene consolidata da fenomeni d’identificazione.
Quanto più il personaggio aggressivo viene dipinto con tratti
affascinanti, la scena è presentata in modo realistico, le sue
conseguenze non vengono mostrate ed il comportamento violento viene
presentato come giustificato dal senso morale, tanto maggiore è il
rischio che una persona ne riproduca il comportamento. A
seconda delle caratteristiche dello spettatore e dei fattori
sopraccitati l’accumulo di storie e scene violente può portare ad
esiti diversi: Spesso
bambini problematici trovano nella violenza mostrata in televisione
un comportamento capace di soddisfare i loro sentimenti di rivalsa,
soprattutto poi se questi comportamenti sono messi in atto da
personaggi che costituiscono dei riferimenti per il gruppo in cui
essi sono inseriti. Tanto
più sono piccoli tanto più i bambini hanno difficoltà a cogliere
il filo conduttore delle storie: vedono e ricordano sequenze
staccate, provviste di carica ansiogena non mitigata da un finale che
ridimensioni gli avvenimenti.
L’esperienza clinica suggerisce che i bambini elaborano ciò che vedono in relazione alla loro personalità ed al contesto familiare. Laddove vi sia un adulto capace di mediare i contenuti televisivi sdrammatizzandoli, la risposta emozionale del bambino potrà essere più serena. Non è quindi necessario censurare ogni forma di violenza, negando quindi l’aggressività che comunque appartiene ad ognuno di noi, ma è certamente auspicabile che non si deleghi alle fonti di possibili contenuti violenti, tv e internet ad esempio, il ruolo di baby-sitter.