“Non mangiamo cibo, ma i nostri ricordi”
Léo Moulin
“Noi non ci sediamo a tavola per mangiare, ma per mangiare assieme”
Plutarco
L’alimentazione, bisogno primario per la vita, è l’esperienza che pone le basi psicologiche dell’identità e della personalità.
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Anche
crescendo, non è solo il cibo che si porta a tavola, ma un bagaglio
di affetti ed emotività. I bambini si rendono conto del potere che
esercitano sui genitori attraverso il cibo, ed il non mangiare
diventa strumento per attirare attenzione. Non è comunque l’età a
caratterizzare questa modalità, poiché il cibo-ricatto può
riaffiorare sia in adolescenza che in età adulta. Accettare il cibo
significa accettare l’Altro: attraverso il rifiuto del cibo si
proclama la negazione degli affetti e il rifiuto della relazione.
Inoltre, mangiare il cibo preparato da altri è un atto di fiducia
nei confronti dell’Altro poiché attraverso il cibo si può
ottenere gratificazione e accudimento, ma si può anche essere
uccisi, e lo sapevano bene i Signori del Rinascimento che, in tempi
di intrighi e rivalità, si servivano di assaggiatori prima di
consumare i loro pasti. Crescendo,
sempre più la tavola diventa luogo di incontro sociale allargato.
Riti, ricorrenze religiose e festività vengono sanciti a tavola
condividendo del cibo. Basti pensare all’origine della parola
compagnia:
cum-panis, persona con cui si divide il pane. Andrea Camilleri
descrive bene il godimento che deriva dal mangiare in compagnia: “Se
mentre mangi con gusto non hai allato a tia una pirsona che mangia
con pari gusto allora il piaciri del mangiare è come offuscato,
diminuito”. Nasce
da queste premesse l’idea che cucinare con l’Altro e per l’Altro
possa essere terapeutico: si può allora parlare di Cucinoterapia. Il
senso della Cucinoterapia consiste nel cercare di interrompere il
meccanismo “sto male quindi mangio/non mangio” sostituendolo con
il messaggio “sto male, quindi cucino”. Senza dover
necessariamente ricadere nel girone di chi soffre di problemi
alimentari, per molti nel delicato continuum tra normalità e
patologia, è familiare ricorrere al così detto comfort
food, ovvero quel cibo
che si mangia per il suo effetto consolatorio. Riferendosi al cibo
che si ottiene praticando la Cucinoterapia si può parlare anche di
soul food,
cibo per l’anima: quel cibo-madre rassicurante, evocazione di
famiglia, casa, coccole, di mamma e di nonna. Nel Webster’s
Dictionary alla voce comfort food si legge: “food that gives a
sense of emotional well-being; any food or drink that one turns to
for temporary relief, security or reward”, ovvero cibo che
garantisce un senso di benessere emozionale e qualunque pietanza o
bevanda a cui una persona ricorre per ottenere sollievo immediato, di
sicurezza o di ricompensa a vario titolo. Il cibo che consola nel
Regno Unito viene definito nursery
food e si riferisce
anche al cibo preferito dai bambini. Un esempio cinematografico di
soul food è la ratatouille, semplice piatto di verdure servito
nell’omonimo film d’animazione. Nel ristorante Gousteau, il
temuto critico gastronomico Egò ordina un piatto fuori lista che lo
stupisca, che lo faccia sognare…gli viene servito un piatto
tradizionale e povero che lo riporta all’infanzia e lo commuove. La
ratatouille diventa comfort food, cibo evocativo che diventa piatto
edipico. Cucinare
per l’Altro è un atto di accudimento che non comincia davanti ai
fornelli, ma molto prima, nella mente di chi decide di concepire un
piatto. Qualsiasi cosa si metta nei piatti è emotivamente
percepibile se è stato preparato con amore o per adempiere ad un
gravoso compito quotidiano. Spesso il cucinare è vissuto come un
impegno poco emancipativo per la semplice ragione che fino a poco
tempo fa la cucina veniva relegata tra le funzioni servili. Visto in
un’ottica diversa invece, cucinare diventa un privilegio che ci
permette di occuparci di chi amiamo. Anche gli incontri amorosi sono
spesso anticipati da un preliminare culinario. E’ evidente il
legame tra sesso e cibo in quanto entrambi favoriscono la
socializzazione, producono piacere, e sono indispensabili per la
sopravvivenza della specie. Pensando al binomio cibo-sesso torna in
mente una scena del fantastico film di Sergio Leone C’era
una volta in America.
Raccontando l’adolescenza di un gruppo di ragazzi della New York
degli anni venti del novecento, viene descritta Peggy, una ragazzina
golosa e disponibile che si concede in cambio di una meringa alla
panna. Peggy si fa aspettare dal suo pretendente seduto su un gradino
fuori dalla porta. Il tempo passa e il ragazzo freme per l’attesa,
tra le sue mani pronto a tentarlo, c’è l’irresistibile dolce
alla panna. Inizia a rubare un po’ di panna scavando il dolce col
suo dito, ma si ferma perché il desiderio della ragazza è più
forte. In quel gesto si esprime il conflitto tra due impulsi intensi
tra cui è difficile scegliere: cibo o sesso? Il ragazzo non resiste:
sceglie il cibo e lo divora. L’apprendere
il tempo dell’attesa, ovvero il tollerare la frustrazione che
dall’attesa deriva in relazione alla posticipazione della
gratificazione è parte della Cucinoterapia. Il cucinare impone un
tempo, si pianifica un progetto e si lavora per ottenere un risultato
rispettando le tempistiche necessarie alle varie fasi di lavorazione.
Si contiene così il raptus alimentare ritardandolo fino a fargli
perdere la forza compulsiva e si impara, più in generale, a
contenere i propri impulsi. L’attesa, in questo caso, recupera il
valore dell’hic et nunc, diventa anticipazione creativa e gioiosa
di ciò che sarà. Non più quindi un’attesa frustrante e negativa,
ma momento di preparazione e pregustazione. Cucinare
è fare; e dare un significato a quello che si fa,inscrivendolo nella
sfera del piacere e della relazione, è fare Cucinoterapia. Decido
cosa preparare: quali ingredienti? Quali utensili? Come sarà il
piatto terminato, che aspetto e che sapore avrà? Dopo la progettazione inizia la trasformazione. Manipolo gli alimenti: pulisco, taglio, mischio.. Avvio un processo in cui il tutto sarà un qualcosa in più rispetto alla somma delle parti che lo compongono. Poi trasformo: il passaggio da crudo a cotto, come una magia: creo! Il piatto è pronto; il mio senso d’efficacia aumenta così come la mia autostima. Infine assaggio, e magari condivido. L’olfatto è stuzzicato, il gusto è gratificato e se l’assaggio avviene con l’Altro la condivisione emotiva corona l’evento.